Anche la schiavitù ha la sua aristocrazia spensierata felice e dura ma odiata dagli inferiori piú forse degli stessi padroni. Fra me e la Gemma si fa anche un po' di scuola al Fabietto; egli sgrammatica già nel francese con inimitabile audacia, e tutti insieme poi prendiamo lezione di portoghese da un vecchio prete che è cappellano, vescovo, e direi quasi papa del paese. V'ha, sí nella provincia un vescovo, ma è miracolo se una volta in sua vita si cimenta fin quassù. Sono fatiche da bestie, e i nostri prelati suderebbero a figurarsele: non si trovano qui né parrochi ospitali, né canoniche spaziose e parate a festa, né mense ben fornite ad ogni due miglia. Bisogna serenare dieci notti prima di trovare una capanna dove un povero e coraggioso missionario arrischia la vita per insegnare ai selvaggi quell'abbicí della civiltà che è il cristianesimo. Il maresciallo Giorgi, l'invincibile duca di Rio-Vedras, ha fatto assai colle carabine; ma piú faranno, credo, questi preti ignorati pazienti. Qui Voltaire ha ancora torto. Insomma se non fosse la lontananza, l'incertezza delle corrispondenze, e quella smania di novità che accresce sempre mano a mano che si veggono cose piú nuove e stupende, torrei volentieri di finir qui la mia vita. Ma Venezia?... Oh non pensiamoci!... Papà e mamma, vi rivedrò io mai piú?... In cielo, è certo.
Rio Ferreires, giugno 1851
Quanti mesi che non aggiungo nulla a queste poche note del mio esiglio; ma converrebbe appunto o scrivere un volume al mese o restarsi.
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