sien spinte e rotte e trucidate. Ognunolo si goda così questo tiranno;
senta egli stesso il gran regnante Atride
qual commise follìa quando superbofe' de' Greci al più forte un tanto oltraggio.
E lagrimando a lui Teti rispose:
Ahi figlio mio! se con sì reo destinoti partorii, perché allevarti, ahi lassa!
Oh potessi ozioso a questa rivasenza pianto restarti e senza offese,
ingannando la Parca che t'incalza,
ed omai t'ha raggiunto! Ora i tuoi giornibrevi sono ad un tempo ed infelici,
ché iniqua stella il dì ch'io ti produssii talami paterni illuminava.
E nondimen d'Olimpo alle nevosevette n'andrò, ragionerò con Giove
del fulmine signore, e al tuo desirepiegarlo tenterò. Tu statti intanto
alle navi; e nell'ozio del tuo brandosenta l'Achivo de' tuoi sdegni il peso.
Perocché ieri in grembo all'Oceàno
fra gl'innocenti Etïopi disceseGiove a convito, e il seguîr tutti i numi.
Dopo la luce dodicesma al cielotornerà. Recherommi allor di Giove
agli eterni palagi; al suo ginocchiomi gitterò, supplicherò, né vana
d'espugnarne il voler speranza io porto.
Partì, ciò detto; e lui quivi di bilemacerato lasciò per la fanciulla
suo mal grado rapita. Intanto a Crisa
colla sacra ecatombe Ulisse approda.
Nel seno entrati del profondo porto,
le vele ammaïnâr, le collocarodentro il bruno naviglio, e prestamente
dechinâr colle gomone l'antenna,
e l'adagiâr nella corsìa. Co' remiil naviglio accostâr quindi alla riva;
e l'ancore gittate, e della poppaannodati i ritegni, ecco sul lido
tutta smontar la gente, ecco schierarsil'ecatombe d'Apollo, e dalla nave
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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483 |
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