la Dea s'assise, colla manca strinsele divine ginocchia, e colla destra
molcendo il mento, e supplicando disse:
Giove padre, se d'opre e di parolegiovevole fra' numi unqua ti fui,
un mio voto adempisci. Il figlio mio,
cui volge il fato la più corta vita,
deh, m'onora il mio figlio a torto offesodal re supremo Agamennón, che a forza
gli rapì la sua donna, e la si tiene.
Onoralo, ti prego, olimpio Giove,
sapientissimo Iddio; fa che vittricisien le spade troiane, infin che tutto
e doppio ancora dagli Achei pentitial mio figlio si renda il tolto onore.
Disse; e nessuna le facea rispostail procelloso Iddio; ma lunga pezza
muto stette, e sedea. Teti il ginocchioteneagli stretto tuttavolta, e i preghi
iterando venìa: Deh, parla alfine;
dimmi aperto se nieghi, o se concedi;
nulla hai tu che temer; fa ch'io mi sappiase fra le Dee son io la più spregiata.
Profondamente allora sospirandol'adunator de' nembi le rispose:
Opra chiedi odiosa che nemicofarammi a Giuno, e degli ontosi suoi
motti bersaglio. Ardita ella mai semprepur dinanzi agli Dei vien meco a lite,
e de' Troiani aiutator m'accusa.
Ma tu sgombra di qua, ché non ti veggala sospettosa. Mio pensier fia poscia
che il desir tuo si cómpia, e a tuo confortoabbine il cenno del mio capo in pegno.
Questo fra' numi è il massimo mio giuro,
né revocarsi, né fallir, né vanaesser può cosa che il mio capo accenna.
Disse; e il gran figlio di Saturno i nerisopraccigli inchinò. Su l'immortale
capo del sire le divine chiomeondeggiaro, e tremonne il vasto Olimpo.
Così fermo l'affar si dipartiro.
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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483 |
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