Un giorno interorovinai per l'immenso, e rifinito
in Lenno caddi col cader del sole,
dalli Sinzii raccolto a me pietosi.
Disse; e la Diva dalle bianche bracciarise, e in quel riso dalla man del figlio
prese il nappo. Ed ei poscia agli altri Eterni,
incominciando a destra, e dal cratereil nèttare attignendo, a tutti in giro
lo mescea. Suscitossi infra' Beati
immenso riso nel veder Vulcano
per la sala aggirarsi affaccendatoin quell'opra. Così, fino al tramonto,
tutto il dì convitossi, ed egualmentedel banchetto ogni Dio partecipava.
Né l'aurata mancò lira d'Apollo,
né il dolce delle Muse alterno canto.
Ratto, poi che del Sol la luminosalampa si spense, a' suoi riposi ognuno
ne' palagi n'andò, che fabbricatia ciascheduno avea con ammirando
artifizio Vulcan l'inclito zoppo.
E a' suoi talami anch'esso, ove qual voltasoave l'assalìa forza di sonno,
corcar solea le membra, il fulminanteOlimpio s'avvïò. Quivi salito
addormentossi il nume, ed al suo fiancogiacque l'alma Giunon che d'oro ha il trono.
LIBRO SECONDO
Tutti ancora dormìan per l'alta nottei guerrieri e gli Dei; ma il dolce sonno
già le pupille abbandonato aveadi Giove che pensoso in suo segreto
divisando venìa come d'Achille,
con molta strage delle vite argive,
illustrar la vendetta. Alla divinamente alfin parve lo miglior consiglio
invïar all'Atride Agamennóne
il malefico Sogno. A sé lo chiama,
e con presto parlar, Scendi, gli dice,
scendi, Sogno fallace, alle velociprore de' Greci, e nella tenda entrato
d'Agamennón, quant'io t'impongo, esponiesatto ambasciator.
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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483 |
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