che poi sovr'Argo lo distese, e sopraisole molte. A questo il grande Atride
appoggiato, sì disse: Amici eroi,
Dànai, di Marte bellicosi figli,
in una dura e perigliosa impresaGiove m'avvolse, Iddio crudel, che prima
mi promise e giurò delle superbeiliache mura la conquista, e in Argo
glorioso il ritorno. Or mi deludeindegnamente, e dopo tante in guerra
vite perdute, di tornar m'imponeinonorato alle paterne rive.
Del prepotente Iddio questo è il talento,
di lui che nell'immensa sua possanzagià di molte città l'eccelse rocche
distrusse, e molte struggeranne ancora.
Ma qual onta per noi appo i futuriche contra minor oste un tale e tanto
esercito di forti una sì lungaguerra guerreggi; e non la cómpia ancora?
Certo se tutti convocati insiemesalda pace a giurar Teucri ed Achivi,
e di questi e di quei levato il conto,
ad ogni dieci Achivi un Teucro solomescer dovesse di lïeo la spuma,
molte decurie si vedrìan chiedenticon labbro asciutto il mescitor: cotanto
maggior de' Teucri cittadini estimoil numero de' nostri. Ma li molti
da diverse città raccolti e scesiin lor sussidio bellicosi amici
duro intoppo mi fanno, e a mio dispettomi vietano espugnar d'Ilio le mura.
Già del gran Giove il nono anno si volgeda che giungemmo, e già marciti i fianchi
son delle navi, e logore le sarte;
e le nostre consorti e i cari figlidesïando ne stanno e richiamando
nelle vedove case. E noi l'impresache a queste sponde ne condusse, ancora
consumar non sapemmo. Al vento adunque,
diamo al vento le vele, io vel consiglio,
alla dolce fuggiam terra natìa
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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483 |
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