mandâr gli Achivi un altissimo gridosomigliante al muggir d'onda spezzata
all'alto lido ove il soffiar la cacciadi furioso Noto incontro ai fianchi
di prominente scoglio, flagellatoda tutti i venti e da perpetue spume.
Si levâr frettolosi, si disperseroper le navi, destâr per tutto il lido
globi di fumo, ed imbandîr le mense.
Chi a questo dio sacrifica, chi a quello,
al suo ciascun si raccomanda, e il pregadi camparlo da morte nella pugna.
Ma il re de' prodi Agamennóne un pinguetoro quinquenne al più possente nume
sagrifica, e convita i più prestanti:
Nestore primamente e Idomenèo,
quindi entrambi gli Aiaci, e di Tidèo
l'inclito figlio, e sesto il divo Ulisse.
Spontaneo venne Menelao, cui notoera il travaglio del fratello. E questi
fêr di sé stessi una corona intornoalla vittima, e preso il salso farro
nel mezzo Agamennóne orando disse:
Glorioso de' nembi adunatoreMassimo Giove abitator dell'etra,
pria che il sole tramonti e l'aria imbruni,
fa che fumanti al suol di Priamo io gettigli alti palagi, e d'ostil fiamma avvampi
le regie porte; fa che la mia lanciasquarci l'usbergo dell'ettòreo petto,
e che dintorno a lui molti suoi fidiboccon distesi mordano la polve.
Disse; ed il nume l'olocausto accolse,
ma non il voto, e a lui più lutto ancorapreparando venìa. Finito il prego
e sparso il farro, ed incurvato all'aradella vittima il collo, la scannaro,
la discuoiaro, ne squartâr le cosce,
le rivestîr di doppio zirbo, e sopraposervi i crudi brani. Indi la fiamma
d'aride schegge alimentando, a quellacocean gli entragni nello spiedo infissi.
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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483 |
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Achivi Noto Agamennóne Idomenèo Aiaci Tidèo Ulisse Menelao Agamennóne Giove Priamo
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