di paura tremante e bianco in viso,
tal fra le schiere de' superbi Teucri,
l'ira temendo del figliuol d'Atreo,
l'avvenente codardo retrocesse.
Ettore il vide, e con ripiglio acerbogli fu sopra gridando: Ahi sciagurato!
ahi profumato seduttor di donne,
vile del pari che leggiadro! oh maimai non fossi tu nato, o morto fossi
anzi ch'esser marito, ché tal fôracerto il mio voto, e per te stesso il meglio,
più che carco d'infamia ir mostro a dito.
Odi le risa de' chiomati Achei,
che al garbo dell'aspetto un valorosoti suspicâr da prima, e or sanno a prova
che vile e fiacca in un bel corpo hai l'alma.
E vigliacco qual sei tu il mar varcasticon eletti compagni? e visitando
straniere genti tu dall'apia terradonna d'alta beltà, moglie d'eroi,
rapir potesti, e il padre e Troia e tutticacciar nelle sciagure, agl'inimici
farti bersaglio, ed infamar te stesso?
Perché fuggi? perché di Menelao
non attendi lo scontro? Allor sapraidi qual prode guerrier t'usurpi e godi
la florida consorte: né la cetrati varrà né il favor di Citerea,
né il vago aspetto né la molle chioma,
quando cadrai riverso nella polve.
Oh fosser meno paurosi i Teucri!
ché tu n'andresti già, premio al mal fatto,
d'un guarnello di sassi rivestito.
Ed il vago a rincontro: Ettore, il veggo,
a ragion mi rampogni, ed io t'escuso.
Ma quel duro tuo cor scure somigliache ben tagliente una navale antenna
fende, vibrata da gagliardi polsi,
e nerbo e lena al fenditor raddoppia.
Non rinfacciarmi di Ciprigna i doni,
ché, qualunque pur sia, gradito e bellosempre è il dono d'un Dio; né il conseguirlo
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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483 |
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