Ella stessa a chiamar quindi la figliacorse di Leda, e la trovò nell'alta
torre in bel cerchio di dardanie spose.
Prese il volto e le rughe d'un'anticafilatrice di lane, che sfiorarne
ad Elena solea di molte e bellenei paterni soggiorni, e sommo amore
posto le avea. Nella costei sembianzala Dea le scosse la nettarea veste,
e, Vieni, le dicea, vieni; ti chiamaAlessandro che già negli odorati
talami stassi, e su i trapunti lettitutto risplende di beltà divina
in sì gaio vestir, che lo direstiritornarsi non già dalla battaglia,
ma invïarsi alla danza, o dalla danzariposarsi. Sì disse, e il cor nel seno
le commosse. Ma quando all'incarnatodel bellissimo collo, e all'amoroso
petto, e degli occhi al tremolo balenoriconobbe la Dea, coglier sentissi
di sacro orrore, e ritrovate alfinele parole, sclamò: Trista! e che sono
queste malizie? Ad alcun'altra forsedi Meonia o di Frigia alta cittade
vuoi tu condurmi affascinata in bracciod'alcun altro tuo caro? Ed or che vinto
il suo rival, me d'odio carca a Sparta
e perdonata Menelao radduce,
sei tu venuta con novelli inganniad impedirlo? E ché non vai tu stessa
e goderti quel vile? Obblìa per luil'eterea sede, né calcar più mai
dell'Olimpo le vie: statti al suo fianco,
soffri fedele ogni martello, e il covafinché t'alzi all'onor di moglie o ancella;
ch'io tornar non vo' certo (e fôra indegno)
a sprimacciar di quel codardo il letto,
argomento di scherno alle troianespose, e a me stessa d'infinito affanno.
E irata a lei la Dea: Non irritarmi,
sciagurata! non far ch'io t'abbandoni
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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483 |
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