nel mio disdegno, e tanto io sia costrettaad abborrirti alfin quanto t'amai;
e t'amai certo a dismisura. Or ionegli argolici petti e ne' troiani
metterò, se mi tenti, odii sì fieri,
che di mal fato perirai tu pure.
L'alma figlia di Leda a questo diretremò, si chiuse nel suo bianco velo,
e cheta cheta in via si pose, a tuttele Troadi celata, e precorreva
a' suoi passi la Dea. Poiché venutefur d'Alessandro alle splendenti soglie,
corser di qua di là le scaltre ancelleai donneschi lavori, ed ella intanto
bellissima saliva e taciturnaai talami sublimi. Ivi l'amica
del riso Citerea le trasse innanzidi propria mano un seggio, e di rimpetto
ad Alessandro il collocò. S'assisela bella donna, e con amari accenti,
garrì, senza mirarlo, il suo marito:
E così riedi dalla pugna? Oh fossicolà rimasto per le mani anciso
di quel gagliardo un dì mio sposo! E puree di lancia e di spada e di fortezza
ti vantasti più volte esser migliore.
Fa cor dunque, va, sfida il forte Atride
alla seconda singolar tenzone.
Ma t'esorto, meschino, a ti star queto,
né nuovo ritentar d'armi perigliocol tuo rivale, se la vita hai cara.
Non mi ferir con aspri detti, o donna,
le rispose Alessandro. Fu Minerva
che vincitor fe' Menelao, sol essa.
Ma lui del pari vincerò pur io,
ch'io pure al fianco ho qualche Diva. Or viapace, o cara, e ne sia pegno un amplesso
su queste piume; ché giammai sì forteper te le vene non scaldommi Amore,
quel dì né pur che su veloci antenneio ti rapìa di Sparta, e tuo consorte
nell'isola Crenea ti giacqui in braccio.
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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483 |
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