fra le due genti rinnovar si debba,
od in pace comporle. Ove la pacetutti appaghi gli Dei, stia Troia, e in Argo
con la consorte Menelao ritorni.
Strinser, fremendo a questo dir, le labbiaGiuno e Minerva, che vicin sedute
venìan de' Teucri macchinando il danno.
Quantunque al padre fieramente iratatacque Minerva e non fiatò. Ma l'ira
non contenne Giunone, e sì rispose:
Acerbo Dio, che parli? A far di tantearmate genti accolta, alla ruïna
di Priamo e de' suoi figli, ho stanchi i mieiimmortali corsieri; e tu pretendi
frustrar la mia fatica, ed involarmide' miei sudori il frutto? Eh ben t'appaga;
ma di noi tutti non sperar l'assenso.
Feroce Diva, replicò sdegnosol'adunator de' nembi, e che ti fêro,
e Priamo e i Priamìdi, onde tu debbavoler sempre di Troia il giorno estremo?
La tua rabbia non fia dunque satollase non atterri d'Ilïon le porte,
e sull'infrante mura non ti bevidel re misero il sangue e de' suoi figli
e di tutti i Troiani? Or su, fa comepiù ti talenta, onde fra noi sorgente
d'acerbe risse in avvenir non siaquesto dissidio: ma riponi in petto
le mie parole. Se desìo me pureprenderà d'atterrar qualche a te cara
città, non porre a' miei disdegni inciampo,
e liberi li lascia. A questo pattoTroia io pur t'abbandono, e di mal cuore;
ché, di quante città contempla in terral'occhio del sole e dell'eteree stelle,
niuna io m'aggio più cara ed onoratacome il sacro Ilïone e Priamo e tutta
di Priamo pur la bellicosa gente:
perocché l'are mie per lor di sacreopìme dapi abbondano mai sempre,
e di libami e di profumi, onore
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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483 |
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