Dêssilasciar dell'aste il tiro ai giovinetti
di me più destri e nel vigor securi.
Disse; e lieto l'Atride oltrepassandovenne al Petìde Menestèo, perito
di cocchi guidator, ritto nel mezzode' suoi prodi Cecròpii. Eragli accanto
lo scaltro Ulisse colle forti schierede' Cefaleni, che non anco udito
di guerra il grido avean, poiché le teucree l'argive falangi allora allora
cominciavan le mosse: e questi in posaaspettavan che stuolo altro d'Achei
impeto fêsse ne' Troiani il primo,
e ingaggiasse battaglia. In quello statoli sorprese l'Atride; e corruccioso
fe' dal labbro volar questa rampogna:
Petìde Menestèo, figlio non degnod'un alunno di Giove, e tu d'inganni
astuto fabbro, a che tremanti stategli altri aspettando, e separati? A voi
entrar conviensi nella mischia i primi,
perché primi io vi chiamo anche ai convitich'ai primati imbandiscono gli Achei.
Ivi il saìme saporar vi giovadelle carni arrostite, e a piena gola
di soave lïeo cioncar le tazze.
Or vi giova esser gli ultimi, e vi fôragrato il veder ben dieci squadre achee
innanzi a voi scagliarsi entro il conflitto.
Lo guatò bieco Ulisse, e gli rispose:
Qual detto, Atride, ti fuggì di bocca?
E come ardisci di chiamarne in guerraneghittosi? Allorché contra i Troiani
daran principio al rio marte gli Achei,
vedrai, se il brami e te ne cal, vedrainelle dardanie file antesignane
di Telemaco il padre. Or cianci al vento.
Veduto il cruccio dell'eroe, sorrisel'Atride, e dolce ripigliò: Divino
di Laerte figliuol, sagace Ulisse,
né sgridarti vogl'io, né comandarti
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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483 |
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