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      fuor di stagione, ch'io ben so che in pettovolgi pensieri generosi, e senti
      ciň ch'io pur sento. Or vanne, e pugna; e s'oradal labbro mi fuggě cosa mal detta,
      ripareremla in altro tempo. Intantone disperdano i numi ogni ricordo.
      Ciň detto, gli abbandona, e ad altri ei passa;
      e ritto in piedi sul lucente cocchioil magnanimo figlio di Tidčo
      Diomede ritrova. Al fianco ha Stčnelo,
      prole di Capančo. Si volse il sireAgamennóne a Diomede, e ratto
      con questi accenti rampognollo: Ahi figliodel bellicoso cavalier Tidčo,
      di che paventi? Perché guardi intornole scampe della pugna? Ah! non solea
      cosě Tidčo tremar; ma precorrendod'assai gli amici, co' nemici ei primo
      s'azzuffava. Ciascun che ne' guerrieritravagli il vide, lo racconta. In vero
      né compagno io gli fui né testimone,
      ma udii che ogni altro di valore ei vinse.
      Ben coll'illustre Polinice un temposenz'armati in Micene ospite ei venne,
      onde far gente che alle sacre murali seguisse di Tebe, a cui giŕ mossa
      avean la guerra; e ne fęr ressa e preghiper ottenerne generosi aiuti;
      e volevam noi darli, e la domandatutta appagar; ma con infausti segni
      Giove da tanto ne distolse. Or comegli eroi si fűro dipartiti e giunti
      dopo molto cammino al verdeggiantegiuncoso Asopo, ambasciatore a Tebe
      spedîr Tidčo gli Achivi. Andovvi, e moltibanchettanti Cadmei trovň del forte
      Eteňcle alle mense. In mezzo a loro,
      quantunque estrano e solo, il cavalierosenza punto temer tutti sfidolli
      al paragon dell'armi, e tutti ei vinse,
      col favor di Minerva. Irati i vintidi cinquanta guerrieri, al suo ritorno,


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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483

   





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