miserere di me, dammi il tuo cocchioond'io salga all'Olimpo. Assai mi cruccia
una ferita che mi feo la destrad'un ardito mortal, di Dïomede,
che pur con Giove piglierìa contesa.
Sì prega, e Marte i bei destrier le cede.
Salì sul cocchio allor la dolorosa,
salì al suo fianco la taumanzia figlia,
e in man tolte le briglie, a tutto corsoi cavalli sferzò che desïosi
volavano. Arrivâr tosto all'Olimpo,
eccelsa sede degli Eterni. Quiviarrestò la veloce Iri i corsieri,
li disciolse dal giogo, e ristorollid'immortal cibo. La divina intanto
Venere al piede si gittò dell'almagenitrice Dïona, che la figlia
raccogliendo al suo seno, e colla manola carezzando e interrogando, Oh! disse,
oh! chi mai de' Celesti si permise,
amata figlia, in te sì grave offesa,
come rea di gran fallo alla scoperta?
Il superbo Tidìde Dïomede,
rispose Citerea, l'empio ferimmiperché il mio figlio, il mio sovra ogni cosa
diletto Enea sottrassi dalla pugna,
che pugna non è più di Teucri e Achivi,
ma d'Achivi e di numi. - E a lei Dïona
inclita Diva replicò: Sopporta
in pace, o figlia, il tuo dolor; ché moltidegl'Immortali con alterno danno
molte soffrimmo dai mortali offese.
Le soffrì Marte il dì che gli Aloìdi
Oto e il forte Efïalte l'annodarod'aspre catene. Un anno avvinto e un mese
in carcere di ferro egli si stette,
e forse vi perìa, se la leggiadramadrigna Eeribèa nol rivelava
al buon Mercurio che di là furtivolo sottrasse, già tutto per la lunga
e dolorosa prigionìa consunto.
Le soffrì Giuno allor che il forte figliod'Anfitrïone con trisulco dardo
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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483 |
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