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      primo il Tidìde favellò: Guerriero,
      chi se' tu? Non ti vidi unqua ne' campidella gloria finor. Ma tu d'ardire
      ogni altro avanzi se aspettar non temila mia lancia. È figliuol d'un infelice
      chi fassi incontro al mio valor. Se poitu se' qualche Immortal, non io per certo
      co' numi pugnerò; ché lunghi giorniné pur non visse di Drïante il forte
      figlio Licurgo che agli Dei fe' guerra.
      Su pel sacro Nisseio egli di Bacco
      le nudrici inseguìa. Dal rio percossecon pungolo crudel gittaro i tirsi
      tutte insieme, e fuggîr: fuggì lo stessoBacco, e nel mar s'ascose, ove del fero
      minacciar di Licurgo paventosoTeti l'accolse. Ma sdegnârsi i numi
      con quel superbo. Della luce il caroraggio gli tolse di Saturno il figlio,
      e detestato dagli Eterni tuttibreve vita egli visse. All'armi io dunque
      non verrò con gli Dei. Ma se terrenocibo ti nutre, accòstati; e più presto
      qui della morte toccherai le mete.
      E d'Ippoloco a lui l'inclito figlio:
      Magnanimo Tidìde, a che dimandiil mio lignaggio? Quale delle foglie,
      tale è la stirpe degli umani. Il ventobrumal le sparge a terra, e le ricrea
      la germogliante selva a primavera.
      Così l'uom nasce, così muor. Ma s'oltrebrami saper di mia prosapia, a molti
      ben manifesta, ti farò contento.
      Siede nel fondo del paese argivoEfira, una città, natìa contrada
      di Sisifo che ognun vincea nel senno.
      Dall'Eolide Sisifo fu natoGlauco; da Glauco il buon Bellerofonte,
      cui largiro gli Dei somma beltade,
      e quel dolce valor che i cuori acquista.
      Ma Preto macchinò la sua ruina,
      e potente signor d'Argo che Giove


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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483

   





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