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      son già sotto alle mura, e te qui spingereligioso zelo ad innalzare
      là su la rocca le pie mani a Giove.
      Ma deh! rimanti alquanto, ond'io d'un dolcevino la spuma da libar ti rechi
      primamente al gran Giove e agli altri Eterni,
      indi a rifar le tue, se ne berai,
      esauste forze. Di guerrier già stancorinfranca Bacco il core, e te pugnante
      per la tua patria la fatica oppresse.
      No, non recarmi, veneranda madre,
      dolce vino verun, rispose Ettorre,
      ch'egli scemar potrìa mie forze, e in pettoaddormentarmi la natìa virtude.
      Aggiungi che libar non oso a Giove
      pria che di divo fiume onda mi lavi;
      né certo lice colle man di polvelorde e di sangue offerir voti al sommo
      de' nembi adunator. Ma tu di Palla
      predatrice t'invìa deh! tosto al tempio,
      e rècavi i profumi accompagnatadalle auguste matrone, e qual nell'arca
      peplo ti serbi più leggiadro e caro,
      prendilo, e umìle della Diva il ponisu le sacre ginocchia, e sei le vóta
      giovenche e sei di collo ancor non toccose la cittade e le consorti e i figli
      commiserando, dall'iliache muraallontana il feroce Dïomede,
      artefice di fuga e di spavento.
      Corri dunque a placarla. Io ratto intantoa Paride ne vado, onde svegliarlo
      dal suo letargo, se darammi orecchio.
      Oh gli s'aprisse il suolo, ed ingoiassequesta del mio buon padre e di noi tutti
      invïata da Giove alta sciagura.
      Né penso che dal cor mi fia mai toltadi sì spiacenti guai la rimembranza,
      se pria non veggo costui spinto a Pluto.
      Disse; e ne' regii alberghi Ecuba entratachiama le ancelle, e a ragunar le manda
      per la cittade le matrone.


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Iliade
di Homerus (Omero)
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