per l'impeto d'un sol, del fiero Ettorre
che in suo furore intollerando omaipassa ogni modo, e ne fa troppe offese!
A cui la Diva dalle glauche luciMinerva rispondea: Certo perduta
avrìa costui la furia e l'alma ancora,
a giacer posto nella patria terradal valor degli Achei; ma quel mio padre
di sdegnosi pensier calda ha la mente,
sempre avverso, e de' miei forti disegniacerbo correttor; né si rimembra
quante volte servar gli seppi il figliodai duri d'Euristèo comandi oppresso.
Ei lagrimava lamentoso al cielo,
e me dal cielo allora ad aïtarloGiove spediva. Ma se il cor prudente
detto m'avesse le presenti cose,
quando alle ferree porte il suo tirannol'invïò dell'Averno a trar dal negro
Erebo il can dell'abborrito Pluto,
ei, no, scampato non avrìa di Stige
la profonda fiumana. Or m'odia il padre,
e di Teti adempir cerca le brame,
che lusinghiera gli baciò il ginocchio,
e accarezzògli colla destra il mento,
d'onorar supplicandolo il Pelìde
delle cittadi atterrator. Ma tempo,
sì, verrà tempo che la sua dilettaGlaucòpide a chiamarmi egli ritorni.
Or tu vanne, ed il carro m'apparecchiaco' veloci cornipedi, ché tosto
io ne vo dentro alle paterne stanze,
e dell'armi mi vesto per la pugna.
Vedrem se questo Ettòr, che sì superbocrolla il cimiero, riderà quand'io
nel folto apparirò della battaglia.
Qualcun per certo de' Troiani ancorapresso le navi achee satolli e pingui
di sue polpe farà cani ed augelli.
Disse; né Giuno ricusò, ma corseai divini cavalli, e d'auree barde
in fretta li guarnìa, Giuno la figliadel gran Saturno, veneranda Diva.
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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483 |
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