ardìan veruna indirizzar. S'avvidede' lor pensieri il nume, e così disse:
Perché sì meste, o voi Minerva e Giuno?
e' non si par che molto affaticatev'abbia finor la glorïosa pugna
in esizio de' Teucri, a cui sì graveodio poneste. E v'è di mente uscito
che invitto è il braccio mio? che quanti ha numiil ciel, cangiare il mio voler non ponno?
A voi bensì le delicate membraprese un freddo tremor pria che la guerra
pur contemplaste, e della guerra i duriesperimenti. Io vel dichiaro (e fôra
già seguìto l'effetto) che percossedalla folgore mia, no, non v'avrebbe
il vostro cocchio ricondotte al cielo,
albergo degli Eterni. - Il Dio sì disse,
e in secreto fremean Minerva e Giuno
sedendosi vicino, ed ai Troiani
meditando nel cor alte sciagure.
Stette muta Minerva, e contra il padrel'acerbo che l'ardea sdegno represse;
ma sciolto all'ira il fren Giuno rispose:
Tremendissimo Giove, e che dicesti?
Ben anco a noi la tua possanza invitta
è manifesta; ma pietà ne prendedei dannati a perir miseri Achei.
Noi certo l'armi lascerem, se questo
è il tuo strano voler; ma nondimenoqualche ai Greci daremo util consiglio,
onde non tutti il tuo furor li spegna.
E Giove replicò: Più fiero ancoravedrai dimani, se t'aggrada, o moglie,
l'onnipotente di Saturno figliodell'esercito achèo struggere il fiore.
Perocché dalla pugna il forte Ettorre
non pria desisterà, che finalmentel'ozïosa si svegli ira d'Achille
il dì che in gran periglio appo le navicombatterassi per Patròclo ucciso.
Tal de' fati è il voler, né de' tuoi sdegnisollecito son io, no, s'anco ai muti
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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483 |
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