d'ogni coraggio, e l'udîr tutti. Or iodico a te di rimando, che se Giove
l'un ti diè de' suoi doni, l'onor sommodello scettro su noi, non ti concesse
l'altro più grande che lo scettro, il core.
Misero! e speri sì codardi e fiacchi,
come pur cianci, della Grecia i figli?
Se il cor ti sprona alla partenza, parti;
sono aperte le vie; le numerosenavi, che d'Argo ti seguîr, son pronte:
ma gli altri Achivi rimarran qui fermiall'eccidio di Troia; e se pur essi
fuggiran sulle prore al patrio lido,
noi resteremo a guerreggiar; noi dueStènelo e Dïomede, insin che giunga
il dì supremo d'Ilion; ché noiqua ne venimmo col favor d'un Dio.
Tacque; e tutti mandâr di plauso un grido,
del Tidìde ammirando i generosisensi; e di Pilo il venerabil veglio
surto in piedi dicea: Nelle battaglieforte ti mostri, o Dïomede, e vinci
di senno insieme i coetani eroi.
Né biasmar né impugnar le tue parolepotrà qui nullo degli Achei: ma pure,
benché retti e prudenti e di noi degni,
non ferîr giusto i tuoi discorsi il segno.
Giovinetto se' tu, sì che il minoreesser potresti de' miei figli. Io dunque
che di te più d'assai vecchio mi vanto,
dironne il resto, né il mio dir verunobiasmerà, non lo stesso Agamennóne.
È senza patria, senza leggi e senzalari chi la civile orrenda guerra
desidera. Ma giovi or della foscadiva dell'ombre rispettar l'impero.
S'apprestino le cene, ed ogni scoltavegli al fosso del muro, e questo sia
de' giovani il pensier. Tu, sommo Atride,
come a capo s'addice, accogli a mensai più provetti; e ben lo puoi, ché piene
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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483 |
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