Disse: e l'alto parlare e l'aspro niegotutti li fece sbalorditi e muti.
Ruppe alfin quel silenzio il cavalieroveglio Fenice, e sul destin tremando
delle argoliche navi, ed ai sospirimescendo i pianti, così prese a dire:
Se in tuo pensiero è fissa, inclito Achille,
la tua partenza, se nell'ira immotodi niuna guisa allontanar non vuoi
gli ostili incendii dalla classe achea,
come, ahi come poss'io, diletto figlio,
qui restar senza te? Teco mandommiil tuo canuto genitor Pelèo
quel giorno che all'Atride Agamennóne
invïotti da Ftia, fanciullo ancoradell'arte ignaro dell'acerba guerra,
e dell'arte del dir che fama acquista.
Quindi ei teco spedimmi, onde di questistudi erudirti, e farmi a te nell'opre
della lingua maestro e della mano.
A niun conto vorrei dunque, mio caro,
dispiccarmi da te, no, s'anco un Dio,
rasa la mia vecchiezza, mi promettarinverdir le mie membra, e ritornarmi
giovinetto qual era allor che il suolod'Ellade abbandonai, l'ira fuggendo
e un atroce imprecar del padre mioAmintore d'Orméno. Era di questa
ira cagione un'avvenente drudach'egli, sprezzata la consorte, amava
follemente. Abbracciò le mie ginocchiala tradita mia madre, e supplicommi
di mischiarmi in amor colla rivale,
e porle in odio il vecchio amante. Il feci.
Reso accorto di questo il genitore,
mi maledisse, ed invocò sul miocapo l'orrendi Eumenidi, pregando
che mai concesso non mi fosse il porresul suo ginocchio un figlio mio. L'udiro
il sotterraneo Giove e la spietataProserpina, e il feral voto fu pieno.
Carco allor della sacra ira del padre,
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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483 |
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