all'altero Pelìde. Era superboegli già per se stesso; or tu n'hai fatto
montar l'orgoglio più d'assai. Ma vada,
o rimanga, di lui non più parole.
Lasciam che il proprio genio, o qualche iddiolo ridesti alla pugna. Or secondiamo
tutti il mio dir. Di cibo e di lïeo,
fonte d'ogni vigor, vi ristorate,
e nel sonno immergete ogni pensiero.
Tosto che schiuda del mattin le porteil roseo dito della bella Aurora,
metti in punto, o gran re, fanti e cavallinanzi alle navi, e a ben pugnar gl'istiga,
e combatti tu stesso alla lor testa.
Disse, e tutti applaudîr lodando a cielol'alto parlar di Dïomede i regi;
e fatti i libamenti, alla sua tendas'incamminò ciascuno. Ivi le stanche
membra accolser del sonno il dolce dono.
LIBRO DECIMO
Tutti per l'alta notte i duci acheidormìan sul lido in sopor molle avvinti;
ma non l'Atride Agamennón, cui moltitoglieano il dolce sonno aspri pensieri.
Quale il marito di Giunon lampeggiaquando prepara una gran piova o grandine,
o folta neve ad inalbare i campi,
o fracasso di guerra voratrice;
spessi così dal sen d'Agamennóne
rompevano i sospiri, e il cor tremava.
Volge lo sguardo alle troiane tende,
e stupisce mirando i molti fuochich'ardon dinanzi ad Ilio, e non ascolta
che di tibie la voce e di sampognee festivo fragor. Ma quando il campo
acheo contempla ed il tacente lido,
svellesi il crine, al ciel si lagna, ed altogeme il cor generoso. Alfin gli parve
questo il miglior consiglio, ir del Nelìde
Nestore in traccia a consultarne il senno,
onde qualcuna divisar con essovia di salute alla fortuna achea.
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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483 |
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Pelìde Aurora Dïomede Atride Agamennón Giunon Agamennóne Ilio Nelìde
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