gli daranno una negra pecorellacoll'agnello alla poppa; e guiderdone
alcun altro non v'ha che questo adegui.
Poi ne' conviti e ne' banchetti ei fiasempre onorato, desïato e caro.
Disse; e tutti restâr pensosi e muti.
Ruppe l'alto silenzio il bellicosoDïomede e parlò: Saggio Nelìde,
quell'audace son io: me la fidanza,
me l'ardir persuade al gran perigliod'insinuarmi nel dardanio campo.
Ma se meco verranne altro guerriero,
securtà crescerammi ed ardimento.
Se due ne vanno di conserva, l'unofa l'altro accorto del miglior partito.
Ma d'un solo, sebben veggente e prode,
tardo è il coraggio e debole il consiglio.
Disse: e molti volean di Dïomede
ir compagni: il volean ambo gli Aiaci,
il volea Merïon: più ch'altri il figliodi Nestore il volea: chiedealo anch'esso
l'Atride Menelao: chiedea del paripenetrar ne' troiani accampamenti
il forte Ulisse: perocché nel pettosempre il cor gli volgea le ardite imprese.
Mosse allor le parole il grande Atride.
Diletto Dïomede, a tuo talentoun compagno ti scegli a sì grand'uopo,
qual ti sembra il miglior. Molti ne vedipresti a seguirti; né verun rispetto
la tua scelta governi, onde non siache lasciato il miglior, pigli il peggiore;
né ti freni pudor, né riverenzadi lignaggio, né s'altri è re più grande.
Così parlava, del fratello amatopaventando il periglio: e fea risposta
Dïomede così: Se d'un compagnomi comandate a senno mio l'eletta,
come scordarmi del divino Ulisse,
di cui provato è il cor, l'alma costantenelle fatiche, e che di Palla è amore?
S'ei meco ne verrà, di mezzo ancora
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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483 |
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