Già dodici n'avea trafitti; e quanticolla spada ne miete il valoroso,
tanti n'afferra dopo lui d'un piedelo scaltro Ulisse, e fuor di via li tira,
nettando il passo a' bei destrieri, ond'ellialla strage non usi in cor non tremino,
le morte salme calpestando. Intantopiomba su Reso il fier Tidìde, e priva
lui tredicesmo della dolce vita.
Sospirante lo colse ed affannosoperché per opra di Minerva apparso
appunto in quella gli pendea sul capo,
tremenda visïon, d'Enide il figlio.
Scioglie Ulisse i destrieri, e colle briglieaccoppiati, di mezzo a quella torma
via li mena, e coll'arco li percuote
(ché tor dal cocchio non pensò la sferza),
e d'un fischio fa cenno a Dïomede.
Ma questi in mente discorrea più arditifatti, e dubbiava se dar mano al cocchio
d'armi ingombro si debba, e pel timonetrarlo; o se imposto alle gagliarde spalle
via sel porti di peso; o se proseguad'altri più Traci a consumar le vite.
In questo dubbio gli si fece appressoMinerva, e disse: Al partir pensa, o figlio
dell'invitto Tidèo, riedi alle navi,
se tornarvi non vuoi cacciato in fuga,
e che svegli i Troiani un Dio nemico.
Udì l'eroe la Diva, e ratto ascesesu l'uno de' corsier, su l'altro Ulisse
che via coll'arco li tempesta, e quellialle navi volavano veloci.
Il signor del sonante arco d'argentostavasi Apollo alla vedetta, e vista
seguir Minerva del Tidìde i passi,
adirato alla Dea, mischiossi in mezzoalle turbe troiane, e Ipocoonte
svegliò, de' Traci consigliero, e prodeconsobrino di Reso. Ed ei balzando
dal sonno, e de' cavalli abbandonato
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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483 |
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