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      nell'epate percosse, e gli disciolsede' ginocchi il vigor. Sovra il caduto
      Euripilo avventossi, e le bell'armidi dosso gli traea. Ma come il vide
      Paride, il drudo di beltà divina,
      del morto Apisaon l'armi rapire,
      mise in cocca lo strale, e d'aspra puntala destra coscia gli ferì. Si franse
      il calamo pennuto, e tal nell'ancaspasmo destò, che ad ischivar la morte
      gli fu mestieri ripararsi a' suoi,
      alto gridando, O amici, o prenci achivi,
      volgetevi, sostate, liberateda morte Aiace; egli è da' teli oppresso,
      sì ch'io pavento, ohimè! che più non abbiascampo l'eroe: correte, circondate
      de' vostri petti il Telamònio figlio.
      Così disse il ferito: e quelli a garastretti inclinando agli omeri gli scudi,
      e l'aste sollevando, al grande Aiace
      si fêr dappresso; ed ei venuto in salvotra' suoi, di nuovo la terribil faccia
      converse all'inimico. In cotal guisa,
      come fiamma, tra questi ardea la zuffa.
      Di sudor molli intanto e polverosele cavalle nelèe fuor della pugna
      traean col duce Macaon Nestorre.
      Lo vide il divo Achille e lo conobbe,
      mentre ritto si stava in su la poppadella sua grande capitana, e il fiero
      lavor di Marte, e degli Achei miravala lagrimosa fuga. Incontanente
      mise un grido, e chiamò dall'alta naveil compagno Patròclo: e questi appena
      dalla tenda l'udì, che fuori apparvein marzïal sembianza; e dal quel punto
      ebbe inizio fatal la sua sventura.
      Parlò primiero di Menèzio il figlio:
      A che mi chiami, a che mi brami, Achille?
      O mio diletto nobile Patròclo,
      gli rispose il Pelìde, or sì che sperosupplicanti e prostesi a' miei ginocchi


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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483

   





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