veder gli Achivi, ché suprema e duranecessità li preme. Or vanne, o caro,
vanne e chiedi a Nestòr chi quel feritosia, ch'ei ritragge dalla pugna. Il vidi
ben io da tergo, e Macaon mi parve,
d'Esculapio il figliuol; ma del guerrieronon vidi il volto, ché veloci innanzi
mi passâr le cavalle, e via spariro.
Disse; e Patròclo obbedïente al cennodell'amico diletto già correa
tra le navi e le tende. E quelli intantodel buon Nelìde al padiglion venuti
dismontaro, e l'auriga Eurimedonte
sciolse dal carro le nelèe puledre,
mentr'essi al vento asciugano sul lidole tuniche sudate, e delle membra
rinfrescano la vampa: indi raccoltidietro la tenda s'adagiâr su i seggi.
Apparecchiava intanto una bevandala ricciuta Ecamède. Era costei
del magnanimo Arsìnoo una figliuolache il buon vecchio da Tenedo condotta
avea quel dì che la distrusse Achille,
e a lui, perché vincea gli altri di senno,
fra cento eletta la donâr gli Achivi.
Trass'ella innanzi a lor prima un bel descosu piè sorretto d'un color che imbruna,
sovra il desco un taglier pose di rame,
e fresco miel sovresso, e la cipolladel largo bere irritatrice, e il fiore
di sacra polve cereal. V'aggiunseun bellissimo nappo, che recato
aveasi il veglio dal paterno tetto,
d'aurei chiovi trapunto, a doppio fondo,
con quattro orecchie, e intorno a ciaschedunadue beventi colombe, auree pur esse.
Altri a stento l'avrìa colmo rimosso;
l'alzava il veglio agevolmente. In questola simile alle Dee presta donzella
pramnio vino versava; indi tritandosu le spume caprin latte rappreso,
| |
Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483 |
|
|
Achivi Nestòr Macaon Esculapio Patròclo Nelìde Eurimedonte Ecamède Arsìnoo Tenedo Achille Achivi Dee
|