sol dalle mani achive, ma ben ancodalle troiane, e al grandinar de' sassi
smisurati mettean roco un rimbombogli elmi percossi e i risonanti scudi.
Fremendo allor si batté l'anca il figliod'Irtaco, e disse disdegnoso: O Giove
e tu pur ti se' fatto ora l'amicodella menzogna? Chi pensar potea
contro il nerbo di nostre invitte manital resistenza dagli Achei? Ma vélli
che come vespe maculose in ertinidi nascoste, a chi dà lor la caccia
s'avventano feroci, e per le cavecase e pe' figli battagliar le vedi:
così costor, benché due soli, addietrodar non vonno che morti o prigionieri.
Così parlava, né perciò di Giove
si mutava il pensier, che al solo Ettorre
dar la palma volea. Aspro degli altriall'altre porte intanto era il conflitto.
Ma dura impresa mi sarìa dir tutte,
come la lingua degli Dei, le cose.
Perocché quanto è lungo il saldo murotutto è vampo di Marte. Alta costringe
necessità, quantunque egri, gli Achei
a pugnar per le navi; e degli Achei
tutti eran mesti in cielo i numi amici.
Qui cominciâr la pugna i due Lapiti.
Vibrò la lancia il forte Polipète,
e Damaso colpì tra le ferrateguance dell'elmo. L'elmo non sostenne
la furïosa punta che, spezzatii temporali, gli allagò di sangue
tutto il cerèbro, e morto lo distese:
indi all'Orco Pilon spinse ed Ormeno.
Né la strage è minor di Leontèo,
d'Antìmaco figliuolo anzi di Marte.
Sul confin della cintola ei percoteIppomaco coll'asta: indi cavata
dal fodero la daga, per lo mezzodella turba si scaglia, e pria d'un colpo
tasta Antifonte che supin stramazza;
poi rovescia Menon, Jameno, Oreste,
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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483 |
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