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      così del veglio il cor pendea diviso,
      se fra i rapidi carri de' fuggentiDànai si getti, o se alla volta ei corra
      del duce Atride Agamennón. Lo meglioquesto gli parve, e s'avvïò. Seguìa
      la mutua strage intanto, e intorno al pettode' combattenti risonava il ferro
      dalle lance spezzato e dalle spade.
      Fuor delle navi gli si fêro incontroi re feriti Ulisse e Dïomede
      e Agamennón. Di questi a fior di lidostavan lungi dall'armi le carene.
      L'altre, che prime lo toccâr, dedottepiù dentro alla pianura, eran le navi
      a cui dintorno fu costrutto il muro;
      perocché il lido, benché largo, tuttenon potea contenerle, ed acervate
      stavan le schiere. Statuiti adunquel'uno appo l'altro, come scala, i legni
      tutto empieano del lido il lungo senoquanto del mare ne chiudean le gole.
      Scossi al trambusto, che s'udìa, que' duci,
      e di saper lo stato impazïentidella battaglia, ne venìan conserti,
      alle lance appoggiati, e gravi il pettod'alta tristezza. Terror loro accrebbe
      del veglio la comparsa, e Agamennóne
      elevando la voce: O degli Achei
      inclita luce, Nestore Nelìde,
      perché lasci la pugna, e qui ne vieni?
      Temo, ohimè! che d'Ettòr non si compiscala minacciata nel troian consesso
      fiera parola di non far ritornonella città, se pria spenti noi tutti,
      tutte in faville non mettea le navi.
      Ecco il detto adempirsi. Eterni Dei!
      Dunque in ira son io, come ad Achille,
      a tutto il campo acheo, sì che non vogliapiù pugnar dell'armata alla difesa?
      Ahi! pur troppo l'evento è manifesto,
      Nestor rispose, né disfare il fattolo stesso tonator Giove potrebbe.


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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483

   





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