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      non vil guerriero maneggiar so l'asta,
      e preservarli da servil catena?
      Tu frattanto qui statti orrido pastod'avoltoi. Che ti valse, o sventurato,
      quel tuo sì forte Achille? Ei molti avvisiti diè certo al partire: O cavaliero
      caro Patròclo, non mi far ritornoalle navi se pria dell'omicida
      Ettòr sul petto non avrai spezzatoil sanguinoso usbergo... Ei certo il disse,
      e a te, stolto che fosti! il persuase.
      E a lui così l'eroe languente: Or puoimenar gran vampo, Ettorre, or che ti diero
      di mia morte la palma Apollo e Giove.
      Essi, non tu, m'han domo; essi m'han trattol'armi di dosso. Se pur venti a fronte
      tuoi pari in campo mi venìan, qui tuttiquesto braccio gli avrìa prostrati e spenti.
      Ma me per rio destin qui Febo uccidefra gl'Immortali, e tra' mortali Euforbo,
      tu terzo mi dispogli. Or io vo' dirticosa che in mente collocar ben devi:
      breve corso a te pur resta di vita:
      già t'incalza la Parca, e tu cadraisotto la destra dell'invitto Achille.
      Disse e spirò. Disciolta dalle membrascese l'alma a Pluton la sua piangendo
      sorte infelice e la perduta insiemefortezza e gioventù. Sovra l'estinto
      arrestatosi Ettorre, A che mi vaiprofetando, dicea, morte funesta?
      Chi sa che questo della bella Teti
      vantato figlio, questo Achille a Ditecolto dall'asta mia non mi preceda?
      Così dicendo, lo calcò d'un piede,
      gli svelse il telo dalla piaga, e lungilui supino gittò. Poi ratto addosso
      all'auriga d'Achille si disserra,
      di ferirlo bramoso. Invan; ché altrovegl'immortali sel portano corsieri,
      che in bel dono a Pelèo diero gli Dei.


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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483

   





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