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      vedovo il letto, e d'ineffabil luttofosti cagione ai genitor; ma dolce
      farò ben io di quei meschini il pianto,
      se carco del tuo capo e di tue spogliein man di Panto e della dìa Frontìde
      le deporrò. Non più parole. Il ferroprovi qui tosto chi sia prode o vile.
      Ferì, ciò detto, nel rotondo scudo,
      ma nol passò, ché nella salda targasi ritorse la punta. Impeto fece,
      Giove invocando, dopo lui l'Atride,
      e al nemico, che in guardia si traea,
      nell'imo gorgozzul spinta la picca,
      ve l'immerge di forza, e gli traforail delicato collo. Ei cadde, e sopra
      gli tonâr l'armi; e della chioma, a quelladelle Grazie simìl, le vaghe anella
      d'auro avvinte e d'argento insanguinârsi.
      Qual d'olivo gentil pianta nudritain lieto d'acque solitario loco
      bella sorge e frondosa: il molle fiatol'accarezza dell'aure, e mentre tutta
      del suo candido fiore si riveste,
      un improvviso turbine la schiantadall'ime barbe, e la distende a terra;
      tal l'Atride prostese il valorosofigliuol di Panto Euforbo, e a dispogliarlo
      corse dell'armi. Come quando un fortelïon montano una giovenca afferra
      fior dell'armento, co' robusti dentiprima il collo le frange, indi sbranata
      le sanguinose viscere n'ingozza:
      alto di cani intorno e di pastoriromor si leva, ma nïun s'accosta,
      ché affrontarlo non osano compresidi pallido timor: così nessuno
      ardìa de' Teucri al baldanzoso Atride
      farsi addosso; e all'ucciso ei tolte l'armiagevolmente avrìa, se questa lode
      gl'invidiando Apollo, incontro a luinon incitava il marzïale Ettorre.
      Di Menta, duce de' Ciconi, ei presele sembianze e gridò queste parole:


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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483

   





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