tu, madre, mi svïar, ché indarno il tenti.
E a lui la Diva dall'argenteo piede:
Giusta, o figlio, è l'impresa e d'onor degna,
campar da scempio i travagliati amici.
Ma le tue scintillanti armi divineson fra' Troiani, ed Ettore, quel fiero
dell'elmo crollator, sen fregia il dosso,
e dell'incarco esulta. Ma fia breve,
lo spero, il suo gioir, ché negra al fiancogià l'incalza la Parca. Or tu di Marte
per anco non entrar nel rio tumulto,
se tu qua pria venir non mi riveggia.
Verrò dimani al raggio mattutino,
e recherotti io stessa una forbitabella armatura di Vulcan lavoro.
Così detto, dal figlio alle sorelleripiegò la persona, e, Voi, soggiunse,
rïentrate del mar nell'ampio grembo,
e del marino genitor canutorendetevi alle case, e tutto dite
che vedeste ed udiste. Al grande Olimpo
io salgo a ritrovar l'inclito fabbroVulcano, e il pregherò che luminose
armi stupende al figlio mio conceda.
Disse; e quelle del mar tosto nell'ondediscesero, e la Dea dal piè d'argento
avvïossi all'Olimpo a procacciarneal diletto figliuolo armi divine.
Mentr'ella al ciel salìa, con urlo immensodal sanguinoso Ettòr cacciati in fuga
giunser gli Achivi delle navi al valloe al mugghiante Ellesponto. E non ancora
del compagno achillèo la morta spogliaal nembo degli strali avean sottratta
gli argolici guerrieri. Un'altra voltafiero assalto le dava una gran serra
di cavalli e di fanti, e innanzi a tuttidi Prìamo il figlio, l'indefesso Ettorre
che una fiamma parea. Tre volte il prodeper gli piedi il cadavere afferrando
provò di trarlo, e con orrenda voce
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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483 |
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