e mille allor m'avrei doglie soffertose me del mar non raccogliean nel grembo
del rifluente Ocèano la figliaEurìnome e la Dea Teti. Di queste
quasi due lustri in compagnia mi vissi,
e di molte vi feci opre d'ingegno,
fibbie ed armille tortuose e vezzie bei monili, in cavo antro nascoso
a cui spumante intorno ed infinitad'Oceàn la corrente mormorava;
né verun di mia stanza avea contezza,
né mortale né Dio, tranne le bellemie servatrici. Or poiché Teti è giunta
alla nostra magion, piena le vogliorender mercé del benefizio antico.
Tu dinanzi sollecita le poniil banchetto ospital, mentr'io veloce
questi mantici assetto e gli altri arnesi.
Disse, e dal ceppo dell'incude il mostroabbronzato levossi zoppicando.
Moveansi sotto a gran stento le fiacchegambe sottili. Allontanò dal fuoco
i mantici ventosi: ogni fabbrileistrumento raccolse, e dentro un'arca
li ripose d'argento. Indi con mollespugna ben tutto stropicciossi il volto
affumicato ed ambedue le manie il duro collo ed il peloso petto.
Poi la tunica mise; ed il pesantescettro impugnato, tentennando uscìo.
Seguìan l'orrido rege, e a dritta e a mancail passo ne reggean forme e figure
di vaghe ancelle, tutte d'oro, e a vivegiovinette simìli, entro il cui seno
avea messo il gran fabbro e voce e vitae vigor d'intelletto e delle care
arti insegnate dai Celesti il senno.
Queste al fianco del Dio spedite e snellecamminavano; ed egli a tardo passo
avvicinato a Teti, in un lucentetrono s'assise, e la sua man ponendo
nella man della Dea, così le disse:
Qual mai sorte t'adduce a queste soglie,
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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483 |
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Ocèano Dea Teti Oceàn Dio Teti Celesti Dio Teti Dea
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