fia de' vicini regnator l'uom ch'oggidi tua stirpe cadrà fra le ginocchia
d'una madre mortal. Giurollo il numesenza sospetto, e ne fu poi pentito.
Ché Giuno dal ciel ratta in Argo scesadel Perseìde Stènelo all'illustre
moglie sen venne. Avea grav'ella il senod'un caro figlio settimestre. A questo,
benché immaturo, accelerò la luceGiuno, e d'Alcmena prolungando il parto,
ne represse le doglie. Indi a narrarnecorse al Saturnio la novella, e disse:
Giove, t'annunzio che mo' nacque un prodeche in Argo impererà, lo Stenelìde,
tua progenie, Euristèo d'Argo re degno.
D'alto dolor ferito infurïossiGiove, e tosto ai capelli Ate afferrando
per lo Stige giurò che questa a tuttifuria dannosa non avrìa più mai
riveduto l'Olimpo. E sì dicendo,
la rotò colla destra, e fra' mortalidagli astri la scagliò. Per la costei
colpa veggendo di travagli oppressoil diletto figliuol sotto Euristèo
adiravasi Giove. E a me pur anco,
quando alle navi Ettòr struggea gli Achivi,
lacerava il pensier la rimembranzadi questa Diva che mi tolse il senno.
Ma poiché Giove il volle, io vo' del parifarne l'emenda con immensi doni.
Sorgi Achille alla pugna, e gli altri accendi.
Tutto, che ieri nella tenda Ulisse
ti promise, io darotti: e se t'aggrada,
l'ardor sospendi che a pugnar ti sprona,
e dal mio legno farò tosto i donirecar, che visti placheranti il core.
Duce de' prodi glorïoso Atride,
rispose Achille, il dar que' doni a normadi tua giustizia o ritenerli, è tutto
nel tuo poter. Ma tempo non è questoda parole: sia d'armi ogni pensiero,
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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483 |
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