dentro la turba; ma crollando immensauna lancia, volò contro il Pelìde
come fiamma ondeggiante. A quella vistasaltò di gioia Achille, e baldanzoso,
Ecco l'uom, disse, che nel cor m'apersesì gran piaga, colui che il mio m'uccise
caro compagno: or più non fuggiremol'un l'altro a lungo pei sentier di guerra.
Disse, e al divino Ettòr bieco guatando,
gridò: T'accosta, ché al tuo fin se' giunto.
Non pensar, gli rispose imperturbatol'eroe troiano, non pensar di darmi
per minacce terror come a fanciullo,
ché oprar so l'armi della lingua io pure,
e conosco tue forze, e mi confessomen valente di te: ma in grembo ai numi
sta la vittoria, ed avvenir può forsech'io men prode dal sen l'alma ti svelga.
Affilata ha la punta anche il mio telo.
Disse, e l'asta scagliò: ma dal divinopetto d'Achille la svïò Minerva
con levissimo soffio. Risospintadall'alito immortal, l'asta ritorno
fece ad Ettorre, e al piè gli cadde. Alloracon orribile grido disserrossi
furibondo il Pelìde, impazïentedi trucidarlo. Ma gliel tolse Apollo,
lieve impresa ad un Dio, tutto coprendodi folta nebbia Ettòr. Tre volte Achille
coll'asta l'assalì, tre volte un vanofumo trafisse, e con furor venendo
il divino guerriero al quarto assalto,
minaccioso tuonò queste parole:
Cane troian, di nuovo ecco fuggistil'estremo fato che t'avea raggiunto,
e Febo ti scampò, quel Febo a cuitra il sibilo dei dardi alzi le preci.
Ma s'altra volta mi darai nell'ugna,
e se a me pure assiste un qualche iddio,
ti finirò. Di quanti in man frattantomi verranno de' tuoi farò macello.
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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483 |
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Pelìde Achille Ettòr Achille Minerva Ettorre Pelìde Apollo Dio Ettòr Achille Febo
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