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      che trattolo alle navi in Lenno il cesseper prezzo al figlio di Giasone Eunčo.
      Ospite poi d'Eunčo con molti donine fe' riscatto l'imbrio Eezióne,
      che in Arisba il mandō. Di lā fuggitonascostamente, alle paterne case
      avea fatto ritorno, e giā la luceundecima splendea, che con gli amici
      si ricreava di servaggio uscito;
      quando di nuovo il dodicesmo giornoun Dio nemico tra le mani il pose
      del terribile Achille, onde invïarlosuo malgrado alle porte atre di Pluto.
      Riguardollo il Pelėde; e siccom'eranudo la fronte (ché celata e scudo
      e lancia e tutto avea gittato oppressodalla fatica nel fuggir dal fiume,
      e vacillava di stanchezza il piede),
      lo riconobbe, e irato in suo cor disse:
      Quale agli occhi mi vien strano portento?
      Che sė che i Teucri dal mio ferro ancisitornan dall'ombre di Cocito al giorno!
      Come vivo costui? come, vendutogiā tempo in Lenno, del frapposto mare
      poté l'onda passar che a tutti č freno?
      Or ben, dell'asta mia gusti la punta.
      Vedrem s'ei torna di lā pure, ovverose l'alma terra che ritien costretti
      anche i pių forti, riterrā costui.
      Queste cose ei discorre in suo segretosenza far passo. Sbigottito intanto
      Licaon s'avvicina desïosod'abbracciargli i ginocchi, e al nero artiglio
      della Parca involarsi. Alza il Pelėde
      la lunga lancia per ferir; ma quellogli si fa sotto a tutto corso, e chino
      atterrasi al suo pič. Divincolandol'asta sul capo gli trapassa, e in terra
      sitibonda di sangue si conficca.
      Supplichevole allor coll'una manole ginocchia gli stringe il meschinello,
      coll'altra gli rattien l'asta confitta,


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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483

   





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