come alla furia dell'eroe por modo,
e de' Teucri impedir l'ultimo danno.
Intanto il figlio di Pelčo branditaa nuove stragi la gran lancia, assalse
Asteropčo, figliuol di Pelegone,
di Pelegon cui l'Assio ampio-correntegenerň Dio commisto a Peribča,
d'Acessameno la maggior fanciulla.
A costui si fe' sopra il grande Achille,
e quei del fiume uscendo ad incontrarlocon due lance ne venne. Animo e forza
gli avea messo nel cor lo Xanto iratope' tanti in mezzo alle sue limpid'onde
giovani prodi dal Pelěde uccisispietatamente. Avvicinati entrambi,
disse Achille primiero: Chi se' tuch'osi farmiti incontro, e di che gente?
Chi m'attenta č figliuol d'un infelice.
E a lui di Pelegon l'inclita prole:
Magnanimo Pelěde, a che mi chiedidel mio lignaggio? Dai remoti campi
della Peonia qua ne venni (č questogiŕ l'undecimo sole), e alla battaglia
guido i Peonii dalle lunghe picche.
Del nostro sangue č autor l'Assio di largabellissima corrente, e genitore
del bellicoso Pelegon. Di questoio nacqui, e basta. Or mano all'armi, o prode.
All'altere minacce alto sollevail divo Achille la pelěaca trave.
Fassi avanti del par con due gran telil'ambidestro campione Asteropčo.
Coglie col primo l'inimico scudo,
ma nol giunge a forar, ché l'aurea squamalo vieta, opra d'un Dio: sfiora coll'altro
il destro braccio dell'eroe, di nerosangue lo sprizza, e dopo lui si figge
di maggior piaga desďoso in terra.
Fe' secondo volar contro il nemicola sua lancia il Pelěde, intento tutto
a trapassargli il cor, ma colse in fallo:
colse la ripa, e mezzo infitto in quella
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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483 |
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