Ciò detto, altrove s'avviò, né vollealle mani venir, per lo rispetto
di quel Nume a lui zio. Ma la sorelladi belve agitatrice aspra Dïana
con acri motti il rampognò: Tu fuggi,
tu che lunge saetti? e tutta cedisenza contrasto al re Nettun la palma?
Vile! a che dunque nella man quell'arco?
Ch'io non t'oda più mai nella paternareggia tra' numi, come pria, vantarti
di combattere solo il re Nettunno.
Non le rispose Apollo; ma sdegnosasi rivolse alla Dea di strali amante
la veneranda Giuno, e sì la punsecon acerbo ripiglio: E come ardisci
starmi a fronte, o proterva? Di possanzamal tu puoi meco gareggiar, quantunque
d'arco armata. Gli è ver che fra le donneti fe' Giove un lïone, e qual ti piaccia
ti concesse ferir. Ma per le selvemeglio ti fia dar morte a capri e cervi,
che pugnar co' più forti. E se provartivuoi pur, ti prova, e al paragone impara
quanto io sono da più. - Ciò detto, al polsocolla manca le afferra ambe le mani,
colla dritta dagli omeri le strappagli aurei strali, e ridendo su l'orecchia
li sbatte alla rival che d'ogni partesi divincola; e sparse al suol ne vanno
le aligere saette. Alfin di sottole si tolse, e fuggì come colomba
che da grifagno augel per venturosofato scampata ad appiattarsi vola
nel cavo d'una rupe. Ella piangendocosì fuggìa, lasciate ivi le frecce.
Parlò quindi a Latóna il messaggieroargicìda: Latóna, io non vo' teco
cimentarmi; il pugnar colle consortidel nimbifero Giove è dura impresa.
Va dunque; e franca fra gli eterni Deid'avermi vinto per valor ti vanta.
Così dicea Mercurio, e quella intanto
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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483 |
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Nume Dïana Nettun Nettunno Apollo Dea Giuno Giove Latóna Latóna Giove Mercurio
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