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      porgono al figlio i dolorosi, e nullapersuadon l'eroe che fermo attende
      lo smisurato già vicino Achille.
      Quale in tana di tristi erbe pasciutofero colùbro il vïandante aspetta,
      e gonfio di grand'ira, orribilmenteguatando intorno, nelle sue latèbre
      lubrico si convolve; e tale il duceTroian, di sdegni generosi acceso,
      appoggiato lo scudo a una sporgentetorre, sta saldo; e nel gran cor rivolge
      questi pensieri: Che farò? Se mettolà dentro il piè, Polidamante il primo
      rampognerammi acerbo, ei che la scorsanotte esortommi alla città ritrarre,
      comparso Achille, i Teucri; ed io nol feci:
      e sì quest'era il meglio. Or che la miapertinacia fatal tutti li trasse
      nella ruina, sostener l'aspettopiù non oso de' Troi né dell'altere
      Troiane, e parmi già i peggiori udire:
      Ecco là quell'Ettòr che di sue forzetroppo fidando il popolo distrusse.
      Così diranno, e meglio allor mi fiacombattere, e redir, prostrato Achille,
      nella cittade, o per la patria miaaver qui morte glorïosa io stesso.
      Pur se deposto e scudo e lancia ed elmo,
      io medesmo mi fêssi incontro a questomagnanimo rivale, e la spartana
      donna cagion di tanta guerra, e tuttegli promettessi le con lei portate
      da Paride ricchezze, ed altre ancorada partirsi agli Achei, quante ne chiude
      questa città; se con tremendo giuroquindi i Troiani a rivelar stringessi
      i riposti tesori, ed in due partidividendoli tutti... Oh che vaneggia
      mai la mia mente! Io supplice, io dimessopresentarmi? Il crudel, nulla m'avendo
      né pietà né rispetto (ov'io dell'arminudo a lui vada), disarmato ancora,


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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483

   





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