Andronne io stessaal tuo nemico, e metterogli in core
di venir teco a singolar conflitto.
Obbedì, s'appoggiò lieto al ferratosuo frassino il Pelìde, e dipartita
da lui la Diva, al volto, alla favellaDëìfobo si fece, e all'anelante
Ettor venuta, O mio german, dicea,
troppo costui dintorno a queste muracon piè ratto t'incalza e ti travaglia.
Or via restiamci, e difendiamci a fermo.
Rispose Ettòr: Dëìfobo, di quantimi diè fratelli Prïamo ed Ecùba,
sempre il più caro tu mi fosti, ed oralo mi sei più che prima, e più mi traggi
ad onorarti, perocché tu soloda quelle mura osasti a mia difesa,
tu solo uscir, veduto il mio periglio.
Fratello amato, replicò la Diva,
i venerandi genitori, e tuttistringendosi gli amici a' miei ginocchi
di non uscire mi pregâr, cotantoterror gl'ingombra: ma l'interno vinse,
che per te mi struggea, fiero dolore.
Combattiam dunque arditamente, e nullosia più d'aste risparmio, onde si vegga
s'egli, noi spenti, tornerà di nostrespoglie onusto alle navi, o se piuttosto
qui cadrà per la tua lancia trafitto.
Sì dicendo, la Diva ingannatriceprecorse, e quelli l'un dell'altro a fronte
divenuti, primier l'armi crollandofe' questi detti l'animoso Ettorre:
Più non fuggo, o Pelìde. Intorno all'alteilìache mura mi aggirai tre volte,
né aspettarti sostenni. Ora son ioche intrepido t'affronto, e darò morte,
o l'avrò. Ma gli Dei, fidi custodide' giuramenti, testimon ne sièno,
che se Giove l'onor di tua cadutami concede, non io sarò spietato
col cadavere tuo, ma renderollo,
toltene solo le bell'armi, intatto
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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483 |
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