Crucciossi Ettorre,
visto uscir vano il colpo, e non gli essendopronta altra lancia, chinò mesto il volto,
e a gran voce Dëìfobo chiamando,
una picca chiedea: ma lungi egli era.
Allor s'accorse dell'inganno, e disse:
Misero! a morte m'appellâr gli Dei.
Credeami aver Dëìfobo presente;
egli è dentro le mura, e mi deluseMinerva. Al fianco ho già la morte, e nullo
v'è più scampo per me. Fu cara un tempoa Giove la mia vita, e al saettante
suo figlio, ed essi mi campâr cortesine' guerrieri perigli. Or mi raggiunse
la negra Parca. Ma non fia per questoche da codardo io cada: periremo,
ma glorïosi, e alle future gentiqualche bel fatto porterà il mio nome.
Ciò detto, scintillar dalla vaginafe' la spada che acuta e grande e forte
dal fianco gli pendea. Con questa in pugnodrizza il viso al nemico, e si disserra
com'aquila che d'alto per le foschenubi a piombo sul campo si precipita
a ghermir una lepre o un'agnelletta:
tale, agitando l'affilato acciaro,
si scaglia Ettorre. Scagliasi del parigonfio il cor di feroce ira il Pelìde
impetuoso. Gli ricopre il pettol'ammirando brocchier: sovra il guernito
di quattro coni fulgid'elmo ondeggial'aureo pennacchio che Vulcan v'avea
sulla cima diffuso. E qual sfavillanei notturni sereni in fra le stelle
Espero il più leggiadro astro del cielo;
tale l'acuta cuspide lampeggianella destra d'Achille che l'estremo
danno in cor volge dell'illustre Ettorre,
e tutto con attenti occhi spïandoil bel corpo, pon mente ove al ferire
più spedita è la via. Chiuso il nemicoera tutto nell'armi luminose
| |
Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483 |
|
|
Ettorre Dëìfobo Dëìfobo Parca Ettorre Pelìde Vulcan Achille Ettorre
|