tu nella reggia del tuo padre, ed ionella tebana Ipòplaco selvosa
seggio d'Eezïón che pargolettaallevommi, meschino una meschina!
Oh non m'avesse generata! Ai regnitu di Pluto discendi entro il profondo
sen della terra, e me qui lasci al luttovedova in reggia desolata. Intanto
del figlio, ohimè! che fia? Figlio infelicedi miserandi genitor, bambino
egli è del tutto ancor, né tu puoi mortopiù farti suo sostegno, Ettore mio,
ned egli il padre vendicar: ché dovepur sia che degli Achei la lagrimosa
guerra egli sfugga, nondimen dolentitrarrà sempre i suoi giorni, e a lui l'avaro
vicin mutando i termini del campospoglierallo di questo. Abbandonato
da' suoi compagni è l'orfanello; ei portaognor dimesso il volto, e lagrimosa
la smunta guancia. Supplice indigenteva del padre agli amici, e all'uno il saio,
tocca all'altro la veste. Il più pietosogli accosta alquanto il nappo, e il labbro bagna,
non il palato. Ed altro tal che lietova di padre e di madre, alteramente
dalla mensa il ributta, e lo percote,
e villano gli grida: Sciagurato,
esci: il tuo padre qui non siede al desco.
Torna allor lagrimando Astïanatte
alla vedova madre, egli che dianzid'eletti cibi si nudrìa, scherzando
sul paterno ginocchio. E quando ei stancod'innocenti trastulli al dolce sonno
chiudea le luci alla nudrice in grembo,
dentro il suo letticciuol su molli piume,
sazio di gioia il cor, s'addormentava.
E quanti or privo dell'amato padre,
ahi quanti affanni soffrirà! né puntod'Astïanatte gioveragli il nome
che gli posero i Troi, perché le porte
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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483 |
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