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      Del cibarsi e del ber spenta la voglia,
      tutti sbandârsi alle lor tende, e al sonnocesser le membra. Ma del mar sonante
      lungo il lido si stese in mezzo ai foltitessali Achille su la nuda arena,
      di cui l'onda gli estremi orli lambìa.
      Ivi stanco di gemiti e sospirie della molta in perseguendo Ettorre
      sostenuta fatica, il dolce sonnoalleggiator dell'aspre cure il prese,
      soavemente circonfuso. Ed eccocomparirgli del misero Patròclo
      in visïon lo spettro, a lui del tuttone' begli occhi simìle e nella voce,
      nella statura, nelle vesti, e talesovra il capo gli stette, e così disse:
      Tu dormi, Achille, né di me più pensi.
      Vivo m'amasti, e morto m'abbandoni.
      Deh tosto mi sotterra, onde mi siadato nell'Orco penetrar. Respinto
      io ne son dalle vane ombre defunte,
      né meschiarmi con lor di là dal fiumemi si concede. Vagabondo io quindi
      m'aggiro intorno alla magion di Pluto.
      Or deh porgi la man, ché teco io piangaanco una volta: perocché consunto
      dalle fiamme del rogo a te dall'Orco
      non tornerò più mai. Più non potremovivi entrambi, e lontan dagli altri amici
      seduti in dolci parlamenti aprirei segreti del cor: ché preda io sono
      della Parca crudele a me nascenteun dì sortita. E a te pur anco, Achille,
      a te che un Dio somigli, è destinatoil perir sotto le dardanie mura.
      Ben ti prego, o mio caro, e raccomandoche tu non voglia, se mi sei cortese,
      dal tuo disgiunto il cener mio. Noi fummonella tua reggia allor nudriti insieme
      che Menèzio d'Opunte a Ftia menommigiovinetto quel dì che per la lite
      degli astragali irato e fuor di senno


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Iliade
di Homerus (Omero)
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