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      d'Anfidamante a morte misi il figlio,
      mio malgrado. M'accolse il re Pelèo
      ne' suoi palagi umanamente, e postanell'educarmi diligente cura,
      mi nomò tuo donzello. Una sol'urnachiuda adunque le nostre ossa, quell'urna
      che d'ôr ti diè la tua madre divina.
      A che ne vieni, o anima diletta?
      gli rispose il Pelìde; e a che m'ingiungipartitamente queste cose? Io tutto
      che comandi farò: ma deh t'appressa,
      ch'io t'abbracci, che stretti almen per pocogustiam la trista voluttà del pianto.
      Così dicendo, coll'aperte bracciaamoroso avventossi, e nulla strinse,
      ché stridendo calò l'ombra sotterra,
      e svanì come fumo. In piè rizzossisbalordito il Pelìde, e palma a palma
      battendo, in suono di lamento disse:
      Oh ciel! dell'Orco gli abitanti han dunquespirito ed ombra, ma non corpo alcuno?
      Del misero Patròclo in questa nottesovra il capo mi stette il sospiroso
      spettro piangente, tutto desso al vivo,
      e più cose m'ingiunse ad una ad una.
      Ridestâr delle lagrime la bramaqueste parole: raddoppiossi il lutto
      sul miserando corpo, e l'Alba intantocol roseo dito l'Orïente aprìa.
      Da tutte parti allor fece l'Atride
      dalle trabacche uscir giumenti e turbeper lo trasporto del funereo bosco,
      duce il valente Merïon, del prodeIdomenèo scudier. Givan costoro
      di corde armati e di taglienti scurico' giumenti dinanzi. E per distorti
      aspri greppi montando e discendendoe rimontando, agli erti boschi alfine
      giunser dell'Ida che di fonti abbonda.
      Qui dier sùbita man con affilatebipenni al taglio dell'aeree querce
      che strepitose al suol cadeano, e poscia


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Iliade
di Homerus (Omero)
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