giovane ancora, e t'erudîr di tuttal'arte equestre: perciò poco fia l'uopo
d'ammaestrarti, perocché sai destrogirar la meta: ma son tardi al corso
i tuoi destrieri, e qualche danno io temo.
Destrier più ratti han gli altri, ma non artené scïenza maggior. Dunque, o mio caro,
tutti richiama al cor gli accorgimenti,
se vuoi che il premio da tue man non fugga.
L'arte più che la forza al fabbro è buona;
coll'arte in mar da venti combattutoregge il piloto la sua presta nave,
e coll'arte il cocchier passa il cocchiero.
Chi sol del cocchio e de' corsier si fida,
qua e là s'aggira senza senno; incertidivagano i cavalli, ed ei non puote
più governarli. Ma l'esperto auriga,
benché meno valenti i suoi sospinga,
sempre ha l'occhio alla meta, e volta stretto,
e sa come lentar, sa come a tempocon fermi polsi rattener le briglie,
ed osserva il rival che lo precede.
Or la meta, perché tu senza errorela distingua, dirò. Sorge da terra
alto sei piedi un tronco di larìceo di quercia che sia, secco e da pioggia
non putrefatto ancor. Stan quinci e quindi,
dove sbocca la via, due bianche pietreda cui si stende tutto piano in giro
de' cavalli lo stadio. O che sepolcroquesto si fosse d'un illustre estinto,
o confin posto dalla prisca gente,
meta al corso lo fece oggi il Pelìde.
Tu fa di rasentarla, e vi sospingivicin vicino il cocchio e i corridori,
alcun poco piegando alla sinistrala persona, e flagella e incalza e sgrida
il cavallo alla dritta, e gli abbandonatutta la briglia, e fa che l'altro intanto
rada la meta sì che paia il mozzo
| |
Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483 |
|
|
Pelìde
|