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      edificio il colmigno, agli urti invittodegli aquiloni. Allo stirar de' validi
      polsi intrecciati scricchiolar si sentonole spalle, il sudor gronda, e spessi appaiono
      pe' larghi dossi e per le coste i lividirosseggianti di sangue. Ambi del tripode
      a tutta prova la conquista agognano,
      ma né Ulisse può mai l'altro dismuoveree atterrarlo, né il puote il Telamònio,
      ché del rivale la gran forza il vieta.
      Gli Achei noiando omai la zuffa, Aiace
      all'emolo guerrier fe' questo invito:
      Nobile figlio di Laerte, in altosollevami, o sollevo io te: del resto
      abbia Giove la cura. E così detto,
      l'abbranca, e l'alza. Ma di sue maliziememore Ulisse col tallon gli sferra,
      al ginocchio di retro ove si piega,
      tale un sùbito colpo, che le forzesciolse ad Aiace, e resupino il gitta
      con Ulisse sul petto. Alto levosside' riguardanti stupefatti il grido.
      Tentò secondo il sofferente Ulisse
      alzar da terra l'avversario, e alquantolo mosse ei sì, ma non alzollo. Intanto
      l'altro gl'impaccia le ginocchia in guisache sossopra ambedue si riversaro
      e lordârsi di polve. E già risurtisarìano al terzo paragon venuti,
      se il figlio di Pelèo levato in piedinon l'impedìa, dicendo: Oltre non vada
      la tenzon, né vi state, o valorosi,
      a consumar le forze. Ambo vinceste,
      e v'avrete egual premio. Itene, e restiagli altri Achivi libero l'aringo.
      Obbedîr quegli al detto, e dalle membratersa la polve, ripigliâr le vesti.
      Pose, ciò fatto, i premii alla pedestrecorsa: al primo un cratere ampio d'argento,
      messo a rilievi, contenea sei metri,
      né al mondo si vedea vaso più bello.


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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483

   





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