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      egida il copre, perché nulla offesalo strascinato corpo ne riceva.
      Visto del divo Ettòr lo strazio indegno,
      pietà ne venne ai fortunati Eterni,
      e il vegliante Argicida ad involarloincitando venìan. Questo di tutti
      era il vivo desìo, ma non di Giuno,
      né di Nettunno, né dell'aspra verginedall'azzurre pupille. Alto riposta
      nella mente sedea di queste Dive
      di Paride l'ingiuria, e la sprezzatalor beltade quel dì che a lui venute
      nel suo tugurio, ei preferì lor quellache di funesto amor contento il fece.
      Quindi l'odio immortal delle superbecontro le sacre ilìache mura, e Prìamo
      e tutta insieme la dardania gente.
      Ma il duodecimo sole apparso al mondo,
      Febo agli Eterni così prese a dire:
      Numi crudeli, che vi fece Ettorre?
      Forse che su gli altari a voi non arsee di mugghianti e di lanosi armenti
      vittime elette ei sempre? Ed or che fieramorte lo spense, che furor s'è questo
      di non renderne il corpo alla consorte,
      alla madre, al figliuolo, al genitore,
      al popol tutto, acciò che tosto ei s'abbial'onor del rogo e della tomba? E tante
      onte a qual fine? Per servir d'Achille
      alle furie; d'Achille, a cui nel senoné amor del giusto né pietà s'alberga,
      ma cuor selvaggio di lïon che spintodall'ardir, dalla forza e dalla fame
      il gregge assalta a procacciarsi il cibo.
      Tale il Pelìde gittò via dal pettoogni senso pietoso, e quel pudore
      che l'uom castiga co' rimorsi e il giova.
      Perde taluno ancor più cari oggetti,
      il fratello od il figlio. E nondimeno,
      finito il pianto, al suo dolor dà tregua;
      ché nell'uom pose il Fato alma soffrente.


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Iliade
di Homerus (Omero)
pagine 483

   





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