Anche le tragedie Serse e Ifigenia non furono mai pubblicate.(9)
DELLO SCRIVERE E DEL TRADURRE L'ODISSEA
di Vittorio Volpi
Il disegno di Delvinotti, offrendo al pubblico una nuova traduzione dell'Odissea, è di fornire all'Italia e all'Europa del suo tempo, così piena di fermenti, uno sguardo alla situazione della Grecia, che da poco si era liberata dal giogo turco, richiamando l'attenzione alla diretta e continua filiazione letteraria dell'Eptaneso dalla tradizione italiana. Si trattava anche di restituire alla Grecia la sua cultura letteraria, in esilio temporaneo presso università, biblioteche e tipografie europee, dopo tre secoli di turcocrazia.
Nell'Ode a Napoleone (1809) mette in bocca alla Settinsulare
Mio fia, grida, d'Alcinoo il bel soglio;
Mie le vaghe Isolette, che Epiro
Ratto ad esso congiunte vedrà.
…
Da' suoi Prodi per mano guidateArti-belle tornate, tornate.
Anticipava forse il progetto mazziniano e lincolniano di un Adriatico "lago italiano" dal punto di vista geopolitico perché già culturale, disegno che peraltro, ma in modi affatto diversi, ripristinava la situazione prenapoleonica.
Sceglie l'Odissea come mito di riscatto, di ritorno in patria, dove il novello Ulisse è il letterato, illuministicamente ganglio vitale della società, "padre affettuoso" del popolo che governa, che guida la Patria, lo Stato con saggezza e giustizia. Ben possono adattarsi alla biografia di Delvinotti alcuni versi del libro VII (parla Alcinoo, re di Scheria-Corfù):
giusta ira t'arseContro costui che si levò nel circo
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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437 |
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