Ha dunque ancora ragione Kazantzakis (altro massimo esempio di Ulisside), quando dice che le grandi domande dell'uomo ("Chi siamo, donde veniamo, dove andiamo?") non sono in fondo che interrogativi da adolescente.
Lo scrittore non si propone programmaticamente di partire alla ricerca di ricchezze o nuove conoscenze, gli basta partire pur senza meta, pur senza via (se non quella più in salita, se non quella che conduce alla terra più lontana, alla terra incognita delle antiche mappe: hic sunt leones). Navigare nel pelago aperto e incerto del vocabolario, frastornarsi coi mille incontri, tentazioni, paure, sviamenti ed "errori", solo allora, "perduti tutti i compagni", porterà a compimento l'opera intrapresa, dandole una forma; sapendo nello stesso tempo che essa stessa è diventata intrinsecamente, geneticamente, un'odissea.
E così l'opera letteraria non può che nascere dai fatti, dal vivere e dal fare (pòiesis), dalla vita vissuta, dal travaglio (biografico e creativo) sopportato durante la sua genesi; non tanto come testimonianza di quei fatti, ma come occasione, motivo, abbrivo, kairos e periculum che dal proprio interno generano e danno sviluppo alla scrittura intesa come percorso parallelo di parole e di azioni.
La caccia al cinghiale sul monte Parnaso è un'altra metafora della "caccia alla parola", dei pericoli effettivi che devono essere affrontati. Il giovane Odisseo ha con sé solo una lancia, deve agire con tempestività, abilità e coraggio. Supererà la prova: la caccia è il banco di prova della maturità. La cicatrice riportata sarà il "documento d'identità", il diploma dell'esame superato.
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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437 |
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Kazantzakis Ulisside Parnaso Odisseo
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