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      Dietro la narrazione epica non si deve dunque verificare il grado di verisimiglianza (la lontananza delle rotte percorse comportano costitutivamente un dubbio sulla veridicità dei racconti, che appunto verran detti Incredibilia), quanto il grado di vitalità, cioè di universalità. L'opera letteraria va dunque oltre la verità: il mondo è vario e vasto.
      L'esperienza del viaggiatore va formando volta a volta una nuova identità, un'identità in continuo divenire che gli permette di comprendere di più: un sapere scritto nella propria carne, nel proprio cuore (par coeur direbbero i Francesi), che perciò è impossibile dimenticare. Quanto l'occhio umano della letteratura riesce a rendere vivi i fatti da cui nasce, di tanto assicura la propria durata e sopravvivenza. La classicità è meno un fatto di convenzioni letterarie, che di riconoscimento di contenuti vitali per la comunità. Quanto le parole sono vive, tanto è salvo il loro autore, la sua opera e la letteratura stessa. E tanto è salva la bellezza interiore dell'opera, di cui l'autore è ad un tempo schiavo e padrone.
      La traduzione di Delvinotti è dunque fedele ("Rende l'omerico con libertà fedelissima" - Tommaseo) perché preserva il radicamento nei fatti dell'opera letteraria. Le parole riplasmano le azioni nella nostra immaginazione: quei fatti, quel gusto ci vengono riproposti in un packaging lessicale e metrico di sicura vendibilità.
      Ma non è questo che dobbiamo leggere e valutare.
      A prima vista è questa "vetrina" che ci può maggiormente allettare, ma qua e là emergono dei senhal che ci riportano alla concreta referenza (XV, 664-666):


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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437

   





Incredibilia Francesi Delvinotti