Che a carco sia di ognun de' convitati. 280
Pàrmi che in tua magion per insultartiPasteggino i superbi; uom saggio, tante
Non senza fier disdegno onte vedrìa."
a 230 Telèmaco soggiunse: "Ospite mio,
Poiché il mi chiedi e di ciò pur ti cale, 285
Abbi che un tempo fu questa magioneRicca ed in pregio, finché ei qui si tenne.
Ma fermâr altro i Numi, il condannandoSparir nel mezzo de' mortali ignoto;
Né tanto 'l piangerei, se co' suoi prodi 290
Perìa sott'Ìlio o de' suoi fidi in braccio,
Tosto ch'ei pose termine alla guerra.
Certo alzato gli arìeno i Dànai tuttiUn monumento da cui grande al figlio
Verrìa ne' tardi secoli la gloria. 295
Or, non senza ignominia, il si ghermîroLe Arpie; non visto e inonorato, sparve;
Ned altro mi lasciò che affanni e pianto.
Né di lui solo il duol m'ange, ben altriInfortuni da' Numi mi si ordîro. 300
Tutti i Proci che imperano Dulìchio,
Same e Zacinto, d'alti boschi verde,
Que' che usurpâr dell'aspra Ìtaca il regnoAnelano a impalmar la madre, ed ella
Né rifiutar, né a fin trar può le nozze 305
Detestate; ed ei intanto il mio retaggioDivorano, disèrtanmi la casa.
Né guari andrà che perderan me stesso."
a 252 "Ahi! - replicò la diva in gran disdegno -,
Ben t'è mestier del troppo a lungo assente 310
Tuo genitor, d'Ulisse, che le invitteMan sovra i Proci oltracotati avventi!
Se ne' portici là del suo palagio,
D'improvviso giungendo, or si affacciasseCon elmo e scudo e con due lance, tale 315
Qual io da prima alla mia mensa il vidiVivandar lieto, d'Efìra tornato,
Dove albergò presso il Mermerid'Ilo.
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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437 |
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