ß 40 "Veglio - disse -, non è quinci lontano
(Via via 'l ravviserai) l'uom che quest'oggi 50
Il popolo adunò. Son io, cui gravaImmenso affanno il cor. Non del ritorno
Dell'armata, né d'altro che al comuneUtil confaccia, favellarvi or deggio;
Ma toccherò un mio guaio ed una doppia 55
Sventura che piombò sul tetto mio:
Il buon padre perdei che tra voi stessi,
Qual padre affettuoso, un dì regnava;
Or ecco altra più grave che dall'imoSovvertirà tutti i miei stati e intero 60
Il mio retaggio struggeranne. I Proci,
Figli di lor che qua possenti or sono,
Irrompendo, impalmar la renitenteGenitrice vorrìan, pur temon tutti
D'ir ad Icàrio, acciò la figlia ei doti, 65
Per disposarla a quei che Ella desìa;
Ma vengono al mio albergo e stànvi ognoraAd isgozzarmi i tori e le mie agnelle
E le capre più pingui; a ricca mensaAllégransi e tracannano a lor voglia 70
Impunemente il brun Lièo, struggendoTutto quanto il mio aver. Ned havvi eroe
Pari ad Ulisse che da' tetti nostriTanto e sì fier disastro alfin respinga.
Debile e ignaro nel mestier dell'arme, 75
Non basto a m'aitar; ben la costoroBaldanza conterrei; ben forse un giorno
Terribil diverrònne a costor tutti,
Se la forza in me par cresce all'ardire!
Oh! Intollerandi eccessi! In men che onesta 80
Guisa la magion mia già già ruina.
O cittadini d'Ìtaca! vi prendaDi voi stessi vergogna, ah! sì, fuggite
Le rampogne de' popoli che intornoAbitan questi liti; paventate 85
L'ira de' Numi: non su voi la penaDi misfatti sì orribili ricaggia!
L'Olìmpio e Temi implorerò, che aduna
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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437 |
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Proci Icàrio Lièo Ulisse Numi Olìmpio Temi
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