Che le posero i Numi. A sé gran famaProcaccerà, ma te farà dolente 170
Del van desìo del ben perduto. Or noiNé porrem cura ad altro, ned il piede
Rimoverem da queste soglie, se EllaPria non disposa quel che più le aggrada."
ß 129 "No - replicò Telèmaco -, non mai 175
Da queste soglie mie caccerò in bandoChi partorìmmi e del suo sen mi crebbe;
O lontan viva il padre o non più spiri,
Certo duro mi fia tornare a Icàrio
Sì ricca dote che tornar pur deggio, 180
Ov'io la madre al dipartir costringa.
Di gravi mali il padre e di più graviM'opprimerebbe un Dio, da che scendendo
Da quest'albergo, invocherà la Madre
Le ultrici Erinni ed io alle genti tutte 185
Verrei in orror. Ah! no, sì ria parolaNon fia, Proci, da me proferta mai!
Se irati siete, uscìtemi di casa,
Ìtene ad altri deschi, alternamenteL'un l'altro inviti e l'aver suo consumi. 190
Ma se il retaggio divorar d'un soloPiàcevi impunemente, e voi seguite:
Invocherò gli Eterni, acciò che Giove
Vindice surga e qui caggiate inulti."
ß 146 Detto, due dalla cima ardua del monte 195
Aquile gli mandò de' tuoni il Dio.
Tra lor vicine, i tesi vanni immoti,
Con lo spiro volavano de' vènti.
Ma come fûr dell'assemblea sul mezzo,
Scuotendo i folti vanni roteando, 200
E sul capo de' Proci il guardo affiso,
Morte a tutti augurâro; alfin con l'unghieFendèndosi ciascuna i fianchi e il collo,
Impeto fêro a destra; attraversateLe mura e la città, si dileguâro. 205
A quella vista, attoniti nell'alma,
Agitavan qual mai cómpiersi eventoFuturo si dovea. Tra loro il veglio
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Odissea
di Omero (Homerus)
pagine 437 |
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Numi Telèmaco Icàrio Dio Madre Erinni Proci Eterni Giove Dio Proci
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